Disagio abitativo, Lepore: «Rompere con la retorica dell’emergenza»

«Non minimizziamo (sul disagio abitativo), ma occorre prima di tutto rompere la retorica dell’emergenza, per trasformare le tante energie che abbiamo visto emergere in qualcosa di buono. Se vogliamo rimuovere gli ostacoli economici e sociali che minano la dignità della persona non possiamo offrire ideologia, ignoranza o false promesse, ma adoperarci per impostare delle politiche serie e ben studiate». Sono le parole dell’assessore alla Cultura al Patrimonio e ai Rapporti con l’Università, Matteo Lepore ieri in conclusione dell’istruttoria pubblica sul disagio abitativo all’interno di Palazzo D’Accursio, sede del Comune di Bologna. L’assessore ha insistito che «non è accusando i piccoli proprietari immobiliari bolognesi, tassandoli e boiccotandoli» che si può imboccare la strada giusta. E «non sarà dipingendo scenari apocalittici, chiedendo espropri o limitando la proprietà privata che faremo onore alla causa delle fasce più deboli della nostra comunità». 

Bologna il 70 per cento delle famiglie vivono nella casa di cui sono proprietarie, il resto sono in affitto. Sul totale del patrimonio abitativo bolognese esistente, circa l’8 per cento è composto da edilizia sociale e fra quelli che sono in affitto, il 20 per sta in case ERP (alloggi di Edilizia Residenziale Pubblica). Dati, elencati da Lepore, assolutamente inediti per il panorama sia italiano che europeo. «Se guardiamo a Barcellona solo l’1 per cento del patrimonio edilizio è di edilizia sociale. A Bologna in questo esatto momento non ci sono case pubbliche occupate, a Milano, Torino, Roma e Napoli sono invece alcune migliaia. Quando parliamo a Bologna di patrimonio pubblico dismesso è bene sapere che non è di proprietà dell’amministrazione comunale, ma dello Stato. Anzi, credo che proprio da Bologna dovremmo dire che la speculazione finanziaria nelle grandi città è fatta dai grandi capitali, ma a Bologna in particolare è fatta dallo Stato», ha incalzato l’assessore. 

regimi proprietari dei fondi immobiliari e delle aziende che hanno acquistato le aree dismesse, sono prevalentemente statali. «Quindi se vogliamo dirci che serve una politica seria a livello nazionale, dovremmo chiederci perché lo Stato, invece che mettere nei cespiti delle grandi aziende, di fatto per pagare il debito nazionale, queste aree dismesse, non le dà alle cooperative di abitanti che hanno fatto grande il patrimonio dell’edilizia sociale di questa città», ha dichiarato Lepore. 

E sul settore del turismo così tanto odiato perché sarebbero proprio i turisti ad occupare quelle case trasformate in bed and breakfast (e quindi non più affittabili a studenti e lavoratori) non si può tornare indietro: «Non possiamo mettere in contrapposizione le nostre politiche di inclusione con le nostre politiche di sviluppo», ha detto l’assessore. «Vogliamo continuare ad essere attrattivi e inclusivi, riformando il nostro sistema di welfare adattandolo alle novità e ai bisogni reali. Le persone che vengono a Bologna non vengono solo perché le grandi aziende offrono lavoro, o perché l’università è insediata in un centro storico dove la sera si può uscire e divertirsi, ma anche perché sanno che qui troveranno un welfare, un’accoglienza e un sistema di servizi pubblici che gli permetterà di coltivare la propria vita», ha concluso l’assessore.

 

Condividi