Fiori tra il cemento, come sono cambiate le piante che crescono nel centro di Bologna 

Negli ultimi 120 anni le piante che vivono dentro le mura di Bologna sono quasi triplicate, ma sono aumentate soprattutto quelle “aliene” a discapito di quelle originarie del territorio. A rivelarlo è il confronto tra un catalogo botanico di fine Ottocento e una nuova mappatura fatta da ricercatori dell’Università di Bologna.

Nel 1894 al botanico bolognese Lucio Gabelli venne un’idea: creare un catalogo delle piante che crescono in città. Così iniziò ad attraversare in lungo e in largo il centro storico di Bologna – all’epoca ancora cinto dalle mura medievali – registrando le specie vegetali che incontrava sulla sua strada: quelle che animavano i giardini, quelle che crescevano ai bordi delle carreggiate, quelle che spuntavano tra le crepe dei muri. Ad un certo punto trovò persino un eliotropio purpureo (Heliotropium amplexicaule): un fiore originario del Perù che in qualche modo era riuscito ad arrivare fino al cuore dell’Emilia. 

Oggi, un gruppo di ricercatori dell’Alma Mater ha deciso di ripetere lo stesso esperimento per capire quanto e come sono cambiate le piante urbane. Ripercorrendo i passi di Gabelli, gli studiosi hanno catalogato tutte le specie che crescono oggi nel centro storico bolognese, tra parchi, viali, marciapiedi, colonne e palazzi. E lungo il loro percorso hanno ritrovato anche e di nuovo l’eliotropio purpureo nello stesso punto.

A parte però questo caso straordinario, il confronto tra i due cataloghi – quello ottocentesco di Lucio Gabelli e quello contemporaneo dei ricercatori bolognesi – mostra che negli ultimi 120 anni la flora urbana di Bologna è cambiata radicalmente. «Il riscaldamento del clima, i cambiamenti dell’architettura cittadina e il progressivo intervento dell’uomo sull’ambiente urbano hanno modificato in maniera profonda la biodiversità floristica bolognese», conferma Annalisa Tassoni, docente dell’Università di Bologna che ha coordinato lo studio. “Un cambiamento che ha visto il moltiplicarsi di specie aliene, introdotte soprattutto come piante ornamentali, a scapito di quelle native della zona, che si sono ridotte in modo significativo”. 

Dai risultati della ricerca – pubblicati su Scientific Reports, rivista del gruppo Nature – emerge infatti che le specie che abitano il centro storico bolognese sono quasi triplicate, passando dalle 176 di fine Ottocento alle 477 di oggi; allo stesso tempo è però più che raddoppiato il numero di quelle aliene, passando dal 12 per cento al 30 per cento del totale. «Questi vasti cambiamenti sono legati probabilmente alla profonda trasformazione del centro storico di Bologna nell’ultimo secolo: la scomparsa delle aree coltivate e delle mura medievali, la cementificazione, le ampie ricostruzioni del secondo dopoguerra», dice ancora la professoressa Tassoni. Tutti questi eventi hanno portato alla scomparsa delle specie legate all’economia agraria di un tempo, come i cereali e gli alberi da frutto. In compenso l’introduzione su larga scala delle piante ornamentali, nei giardini e sui balconi, ha permesso a moltissime specie non originarie del territorio di diffondersi e radicarsi. 

L’aumento delle specie aliene non è però necessariamente negativo. «Nei centri storici cittadini l’ambiente naturale è spesso quasi del tutto assente e in questi contesti le specie aliene sono a volte le uniche in grado di colonizzare spazi che altrimenti resterebbero vuoti, creando così habitat che possono favorire ad esempio i preziosi insetti impollinatori , spiega Mirko Salinitro, ricercatore dell’Università di Bologna e primo autore dello studio. A resistere sono insomma le piante – locali o aliene – capaci di sopravvivere in ambienti che, complice anche l’aumento delle temperature, diventano sempre più ostili. 

Così, camminando per le strade del centro di Bologna ci si può imbattere in una felce (Dryopteris filix-mas) che spunta dalla colonna di un portico, in macchie di Euphorbia prostrata che si allargano tra le crepe dei marciapiedi, in famiglie di ciombolino comune (Cymbalaria muralis) che si arrampicano sulle pareti dei palazzi o in cespugli di bocca di leone (Anthirrinum majus) che fioriscono tra i mattoni rossi delle mura medievali. E se invece si cerca il luogo che ancora custodisce il più alto livello di biodiversità tra i confini della città storica? La risposta è semplice, confermano i ricercatori: l’Orto botanico dell’Università di Bologna. 

Per l’Università di Bologna gli autori sono Annalisa Tassoni e Mirko Salinitro del Dipartimento di Scienze biologiche, geologiche e ambientali e Alessandro Zappi del Dipartimento di Chimica “Giacomo Ciamician”, a cui si aggiunge Alessandro Alessandrini dell’Istituto per i beni artistici, culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna.

Fonte: Università di Bologna

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