Storie nascoste tra i mattoni, la finestra di via Piella

In una viuzza secondaria, parallela all’affollatissima via Indipendenza, si nasconde una finestra, un piccolo quadrato di stupore che si apre sul muro color mattone di via Piella. Il luogo è meta di un’élite di turisti, innamorati e residenti. In pochi la conoscono e ancor meno la frequentano, soprattutto in questo autunno piovoso. Si mimetizza tra i palazzi medievali e le leggende metropolitane. Il romantico affaccio sul canale delle Moline, riaperto nel 1998, è uno scorcio entusiasmante, che offre all’osservatore un affresco storico, architettonico e fiabesco della Bologna che ha cavalcato Alto e Basso Medioevo. La visuale, guadagnatasi l’appellativo di “Piccola Venezia”, lascia viaggiare la fantasia al suono di campane tuonanti, panni sbattuti e schiamazzi animali. 

La storia del canale

Realizzato nel 1100 come fossato difensivo della seconda muraglia cittadina, il canale delle Moline era munito di lavatoi privati a ponte levatoio, grazie ai quali le lavandaie potevano lavorare senza bagnarsi e dove ben quindici mulini, collocati non direttamente sui canali, ma sulle tante derivazioni create per mezzo di chiaviche, sfruttavano l’energia idraulica per macinare il grano. Oggi, di questo canale, resta solo lo scorcio offerto dalla finestrella: il resto è ormai coperto dall’asfalto. Una vera e propria rete sotterranea lambisce i piedi inconsapevoli dei nostri concittadini: il Canale Reno, uno dei principali della città, si divide in Canale delle Moline e Canale del Cavaticcio. Poco oltre le mura del Trecento il suo corso si unisce a quello del torrente Aposa (da cui l’omonima via Val D’Aposa, tra via Santa Margherita e via De’ Carbonesi), che scorre sotto il centro città. Infine, entrambi si gettano nel Navile. La potenza dell’acqua sembra aver lavato via quel passato pieno di vita che tuttavia permane nei mattoni dei nostri palazzi, negli affreschi delle chiese e nelle targhe che nominano le nostre vie. 

Antichi nomi dal passato

Come la storia che narra il canale delle Moline, tante altre sfuggono ad uno sguardo stanco e frettoloso e si mostrano, invece, limpide agli occhi del più attento appassionato di odonomastica. Via Piella, oltre che ad aprire una vera e propria finestra sulla storia idraulica e sul tessuto sociale bolognesi, è anche un esempio di unificazione di tratti viari, pratica comune nel passaggio da un sistema topografico all’altro. Eclatante è il caso di via degli Artieri, distesa tra via Rizzoli e via degli Orefici, di recente creazione (la prima documentazione dell’odonimo risale al 1915). Gli sventramenti che ne determinarono la nascita, mirati all’allargamento di via Rizzoli, cancellarono alcune antiche vie del centro di Bologna: Spaderie, Tosapecore, Stallatico del Sole, Pellizzerie, Cimarie, Vicolo Brusa Pecore o Busa dei Mandelli, Sanmartini o Zibonarie. Tutti questi nomi li ritroviamo condensati nell’odierna denominazione, che ricorda le arti e i mestieri di pellicciari, cimatori, spadari, giubbonari dell’epoca.

Giustapposizioni fotografiche

Ed eccoci dunque al vero cuore, alla peculiarità dell’odonomastica bolognese: le attuali targhe come precipitato del passato, della storia e della vita che brulicavano per i vicoli della “turrita” medievale. Passeggiando intorno a Piazza Maggiore, inoltrandosi nell’antico ghetto ebraico, nell’affollatissima zona universitaria, piuttosto che tra le vetrine di via Indipendenza, non si può fare a meno di percepire un pulviscolo di sensazioni sfumate, di echi del passato. Le percezioni sono tanto inconsce quanto vivide: in via Pescherie Vecchie risuonano le grida dei pescivendoli della società d’arte dei Pescatori. In via Caprarie, l’antica Strata de Becaris e poi Ruga degli Scannabecchi, rimbombano i colpi di mannaia e i pungenti odori di sanguinaccio e lardo, così come in via dell’Inferno il fetore infernale degli scarti del Pellatoio trascinati dalle acque dell’Aposa. In via Drapperie i polpastrelli sembrano accarezzare i filati dei lanaioli. E in via Altaseta si annusano i ricordi di una tradizione interessante, quella della tiratura dei fili dai bozzoli, praticata in apposite caldare, una bassa, che garantiva una buona qualità, ma richiedeva maggiore perizia, ed un’altra detta alta che garantiva una produttività tre volte superiore di seta grezza, sottoposta poi al processo di torcitura e filatura. 

Percorrere le strade di Bologna è, quindi, un’esperienza multisensoriale, un tuffo in un affresco sfumato fatto di colori e sapori, ma anche di corporazioni, innovazioni tecniche, ed evoluzioni socioculturali. Si tratta di questo, in definitiva: una serie di immagini giustapposte, come quelle dei trittici e dei grandi cicli affrescati medievali, che scorrono davanti agli occhi dell’ignaro pedone, di chiunque, con un cono di Gianni o un cartoccio di caldarroste tra le mani, decida di respirare la vita delle strade bolognesi. 

di Teresa Caini

un articolo a cura di Giovani Reporter

Condividi