Sei anni dopo aver composto la sua prima sinfonia, Wolfgang Amadeus Mozart sarebbe stato eletto membro dell’Accademia Filarmonica di Bologna.

Ancora oggi l’Accademia trova sede in una delle traverse di via Santo Stefano. La sua fondazione risale tuttavia al 1666, quando Vincenzo Maria Carrati, nobile bolognese, decise destinare il palazzo di famiglia alle attività di un’associazione che valorizzasse la produzione delle maggiori autorità musicali del tempo: essere aggregati all’Accademia non solo significava vedere riconosciuto il proprio talento, ma era anche indice di grande prestigio presso le istituzioni e la comunità artistica. Le riunioni avevano cadenza settimanale e si svolgevano in quella che adesso si chiama Sala Mozart. Era nella stessa sala che, infatti, si tenevano le sessioni d’esame per essere ammessi.

Tra gli Accademici più eminenti nell’intera vita dell’associazione, figura senza dubbio Giovanni Battista Martini, meglio conosciuto come Padre Martini, francescano, compositore e teorico all’epoca stimatissimo, nonché personaggio chiave per la storia della musica classica europea – come lo è per la storia di qualsiasi disciplina chi riesce a intravedere il vero potenziale di un talento. Nel 1758 Padre Martini fu accolto nell’Accademia, vale a dire sei anni prima che la Sinfonia n. 1 venisse composta: nel 1764, di anni, Mozart ne aveva otto.

Un compito pulito pulito

Se dovessimo eleggere un personaggio storico a rappresentante dell’idea di genio, almeno per quanto riguarda l’immaginario collettivo, forse la scelta ricadrebbe proprio su Wolfgang Amadeus Mozart. Ciò che affascina del genio è il fatto che solo lui si trovi nelle condizioni di dialogare con la propria genialità. Ne deriva la percezione di sapere poco sul suo conto, rispetto alla quantità di informazioni che ci sfuggono. Così, avviene spesso che, nel giudizio comune, la natura umana del genio passi in secondo piano.

Facile che il Mozart vero, e non quello idealizzato da secoli di ammirazione, fosse invece più vicino di quanto possiamo anche solo stimare all’immagine irriverente che ce ne dà l’aneddotica. Un ragazzo brillante, critico per quel filo di superbia proprio di chi sa di essere bravo, ma al tempo stesso semplice e simpatico. Comunque sia, di una cosa abbiamo certezza – una curiosità che potrebbe, in merito a questi ragionamenti, fornire ulteriori spunti di riflessione.

Nel marzo 1770, accompagnato dal padre Leopold, il quattordicenne Mozart si ritrovò a calpestare le stesse strade che oggi, nella città di Bologna, accolgono i passi di migliaia di abitanti e turisti normalissimi. Fu a una serata di gala nel palazzo del Conte Pallavicini, in via San Felice, che il giovane compositore attirò l’attenzione di Padre Martini. Al ritorno dal tour in Italia, Leopold e Amadeus sostarono a Bologna per un periodo più lungo, da luglio a ottobre: Mozart spese parte del soggiorno, sotto l’insegnamento di Padre Martini, nella preparazione dell’esame d’ammissione all’Accademia, programmato per il 9 ottobre.

«È stato chiamato dentro, e tutti hanno applaudito la sua entrata e si sono congratulati con lui», scrive Leopold alla moglie. Ma, se negli archivi dell’Accademia è conservata la composizione che assicurò a Mozart l’accesso, nel Museo Bibliografico Musicale se ne trova un’altra versione, sbagliata: Martini, che aveva intuito il genio di Mozart, sorvolò sulle lacune dell’allievo, ancora precoce per avere una solida conoscenza del contrappunto, e gli passò la correzione del compito d’esame.

L’(in)certezza di essere grandi

L’aneddoto non toglie nulla alla straordinarietà di un musicista oggi universalmente noto. Al contrario, simili episodi permettono di riconsiderare sotto una luce diversa le grandi personalità della storia e dell’arte. Ipotizziamo cosa sarebbe successo se Martini avesse deciso di rifiutare il giovane Mozart. Forse niente, forse no. Immaginiamo se il padre di Amadeus non fosse stato disposto ad investire nell’istruzione musicale del figlio. Immaginiamo la pressione di tutte le aspettative che il piccolo compositore della Sinfonia n.1 doveva sentir gravare su di sé. Alcuni addirittura sostengono che ben più abile di Amadeus fosse la sorella Nannerl, della quale non ci è giunta traccia – immaginiamo se i genitori avessero invece scommesso sul successo della ragazza.

Tutto è relativo dal momento che in chiunque si potrebbe nascondere un grande talento, nulla ci permette di stabilire con criterio cosa sia esattamente il genio. Non farebbe male, per una volta, vedere il bicchiere mezzo pieno: se davvero è genio chi si distingue dagli altri, allora ciascuno di noi è unico e, a modo suo, geniale.

di Elisa Ciofini

un articolo a cura di Giovani Reporter

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