L’omicidio di Angelo Fabbri, primo atto dei delitti del DAMS

Andare a tartufi sui colli bolognesi è certo una delle pratiche più gradite agli abitanti della nostra città, dal più insospettabile cittadino del centro al più classico inquilino dell’hinterland montanaro della provincia. Sarebbe stata quindi una giornata come tante per tre aspiranti cercatori, che il 31 dicembre, forse sperando di trovare poca concorrenza l’ultimo giorno dell’anno, erano andati in Val di Zena, verso San Lazzaro di Savena, un posto impervio ed isolato, non adatto ad esploratori occasionali e passeggiate in solitudine.

Macabri ritrovamenti

La compagine non sospettava minimamente che al posto di un ottimo condimento per la cena, in quelle colline boscose e silenti, avrebbero trovato un vero e proprio vaso di Pandora. Con la scoperta che i tre avevano appena fatto, si spalancarono le porte ad una stagione di terrore e morte durata quasi tutto l’anno che iniziava quella sera, restando impressa nell’immaginario collettivo di tutta Bologna per anni a venire: stava per sorgere l’anno 1983 e il corpo trovato dai tre fungaioli, quello di Angelo Fabbri, era il primo nella sanguinosa storia degli Omicidi del DAMS.

Quattro giovani morti, tre donne e un uomo, tutti legati al dipartimento di Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo, il famoso DAMS dell’Università di Bologna. Alcuni sono studenti in quella prestigiosa facoltà, altri vi insegnano. Come tutti i loro colleghi presenti e passati, le loro vite gravitano per molti aspetti attorno all’esuberante, originale ed estroso ambiente universitario bolognese che ha il centro della sua eccentricità proprio nel DAMS.

Persone all’apparenza ordinarie, normali frequentatori senza nulla di speciale, ma ognuna di loro ha ben più di una storia da raccontare. Quando le testimonianze sono venute alla luce hanno fatto parlare molto i cittadini bolognesi che nel corso degli anni hanno sempre avanzato nuove tesi sulla ragione delle loro morti, citando quasi sempre quella di un unico, efferato serial killer che avrebbe mietuto anzitempo quelle giovani vite. Per quanto quella sopra citata possa essere la risposta standard degli abitanti della Grassa, essa è ben diversa dalla versione ufficiale, corroborata dalle indagini della polizia, che vede ognuno di questi delitti come un caso separato, per quanto spesso le stesse indagini si siano arenate davanti a un punto morto.

Angelo Fabbri

Il primo caso, in ordine cronologico, è esemplare di questa situazione, ed è proprio quello di cui abbiamo trattato nell’introduzione: Angelo Fabbri. Il corpo trovato nelle foreste della Val di Zena appartiene a un giovane ventiseienne, residente in via Mirasole 10, in pieno centro città: è uno studente del professor Umberto Eco, che ne ha riconosciuto il talento e lo vede come uno dei suoi migliori protégé, nonostante la formazione scientifica. Il suo cadavere è martoriato da undici coltellate, di cui solo cinque fatali, ma tutte inferte con violenza.

Sull’identità dell’assassino nessuno riuscirà mai a fare chiarezza. Ci fu chi, come il suo amico stretto Enrico Gulminelli, suggerì che ad ucciderlo fossero state alcune cattive conoscenze che il giovane aveva coltivato, forse conosciute all’interno del DAMS e in un’Italia che si era appena scrollata di dosso gli anni di piombo. Ci fu chi disse, come proprio Umberto Eco, che la sua morte era stata orchestrata da ignoti come una vendetta personale, per un eccesso di curiosità del ragazzo nei loro riguardi. Nessuno, probabilmente, potrà mai smentire o confermare queste proposte. Ciò che è certo, e su cui tutti concorderanno in seguito, è che l’anno 1983 era iniziato sotto un nero segno di morte.

di Iacopo Brini

un articolo a cura di Giovani Reporter

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