Emergenza case a Bologna, “Pensare Urbano” chiede una discussione pubblica

«Il diritto alla città passa innanzitutto dal diritto ad abitare». È l’idea alla base del Laboratorio per il Diritto alla Città “Pensare Urbano” che ieri ha annunciato la richiesta al Comune di Bologna di un’istruttoria pubblica per aprire un confronto con l’amministrazione sulle possibili soluzioni all’emergenza abitativa della città. L’obiettivo della richiesta è arrivare, attraverso la discussione pubblica, a proposte concrete per gestire il fenomeno anche in relazione alle piattaforme digitali turistiche quali Airbnb e Booking, che contribuiscono a limitare la disponibilità degli affitti. Nei prossimi giorni partirà la raccolta delle 2000 firme necessarie a completare la richiesta, con l’allestimento di alcune postazioni che saranno anche luoghi di discussione. 

A presentare le linee guida proposte da “Pensare Urbano”, progetto che raccoglie studenti, associazioni, sindacati, docenti e collettivi, sono stati Fabio D’Alfonso e Denise Contessa. La richiesta nasce in seguito alla carenza di alloggi nel territorio bolognese che siano accessibili agli studenti o ai lavoratori che vogliano vivere in città. Secondo il laboratorio il Comune ha comunque mostrato di voler risolvere il problema, ad esempio con il piano “Mille case per Bologna”, ma non c’è ancora una visione d’insieme. «A causa delle dinamiche che si sono create nel mercato privato degli affitti e dell’insufficienza dell’edilizia pubblica abbiamo da un lato forti discriminazioni e disuguaglianze, con i famigerati provini subiti dagli studenti, e dall’altro la loro esclusione dal diritto ad abitare in città», ha spiegato D’Alfonso. Secondo quest’ultimo, infatti, le selezioni effettuate dai proprietari di appartamenti sulla base di criteri soggettivi creano spesso delle discriminazioni riguardo ad etnie genere o reddito. D’Alfonso ha spiegato, inoltre, che Airbnb e Booking hanno contribuito a peggiorare il già limitato mercato degli appartamenti. Sempre più proprietari decidono di affittare le loro case tramite tali siti web riducendo la disponibilità per chi voglia trovare casa a Bologna. 

A tal proposito Denise Contessa ha spiegato che il laboratorio «non è contrario all’utilizzo delle piattaforme in toto, ma si oppone al loro utilizzo improprio, che non è di sharing economy ma diventa strumento di accumulazione per chi ha già molto». Secondo i dati presentati alla conferenza, rilasciati da Inside Airbnb a marzo di quest’anno, più del 60 per cento degli annunci sono di interi appartamenti. Inoltre, circa la metà è gestita da un 30 per cento di “multi host”, cioè utenti che hanno in affitto più di un appartamento. Altro elemento messo in evidenza è il fatto che gli annunci più costosi e i multi proprietari si concentrino in zone della città che hanno un alto reddito medio (come Saragozza e San Mammolo). «Questo crea anche una disuguaglianza, perché zone già ricche continuano ad accumulare sempre più guadagni a discapito delle zone meno abbienti che indietreggiano», ha detto Contessa. La richiesta è, dunque, di regolamentare il settore come hanno già fatto molte città del mondo. 

Altro tema importante in relazione alla questione abitativa sono gli studentati universitari. Secondo D’Alfonso la costruzione di più alloggi universitari sarebbe certamente positiva ma farebbe emergere un ulteriore problema. «Il punto è garantirne l’accesso a chi ne ha bisogno e che anche nel mercato privato siano garantite delle soluzioni idonee, soprattutto a Bologna che conta decine di migliaia di studenti». 

Foto: pagina Facebook Pensare Urbano

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